Pillole di storia del Buddismo Zen

Non è semplice ne’ immediato capire di che cosa tratti il Buddhismo; quando sentiamo parlare di Buddhismo o di Induismo siamo soliti pensare a qualche religione legata al culto di idoli o cose di questo tipo,  ma invece, più che una religione, il “Buddismo zen” è pratica quotidiana, vita vissuta, ben lontana da ciò che è astratto o teorico.



Lo Zen affonda le sue radici in un’antichissima cultura quale è quella indiana, dall’esperienza del Buddha Shakyamuni, in India nel VI secolo a.C., quando realizzò il risveglio nella postura Dhyana, un termine sanscrito che significa “visione” ma che è usato generalmente per indicare le fasi di avanzamento della meditazione sino al raggiungimento dell’Unione con Dio, la Purezza Perfetta.

Questa nuova esperienza venne per millenni trasmessa da maestro a discepolo formando così le prime antichissime basi di quello che oggi noi chiamiamo Zen. Dopo millenni di trasmissione di questa sapienza nella sola India, il monaco Bodhidharma, conoscitore di tale esperienza, portò questo insegnamento in Cina, nel V secolo d.C. dove, quello che in sanscrito era Dhyana, in cinese divenne Ch’an. In Cina la disciplina Ch’an trovò terreno fertile per la sua diffusione e trovò moltissimi seguaci che da maestro a discepolo si tramandarono questo sapere. E’ grazie alla Cina che si raggiunse originalità e purezza nel Ch’an. Solo dopo essere giunto in Giappone, nel XIII secolo ad opera del  monaco giapponese Dogen, quello che  fin ad allora era conosciuto come Ch’an comincerà ad essere pronunciato Zen.

E’ importante capire la differenza tra il Dhyana indiano, il Ch’an cinese e lo Zen giapponese.

Fondamentalmente la disciplina è la stessa ma è il modo di applicarla che è diverso. La versione indiana e quella cinese propongono un modo di pensare che prevede la totale astrazione, fuga dal mondo, rinuncia di quest’ultimo, il completo allontanarsi da tutto ciò che è sociale per rifugiarsi nella propria interiorità, per trovare conforto nella meditazione, il rielaborato Zen Giapponese invece propone di mettere questo sapere al servizio della società. Mentre indiani e cinesi cercavano la santità, la “buddhità” nell’interiorità grazie all’aiuto della meditazione, lo Zen Giapponese parlava più di applicazione di tale esperienza alla vita quotidiana invitando chiunque al “buon sentimento“, al “comportamento corretto“, al “sentire corretto“.

Questo nuovo modo di intendere lo Zen riuscì ad entrare profondamente e a fondersi con la cultura Giapponese a tal punto da plasmare veri e propri stili di vita, come l’onorabilità dei Samurai (infatti lo Zen divenne la loro effettiva religione), la gentilezza dei modi e il comportamento con gli altri nella società, le usanze come ad esempio la Cerimonia del Tè , l’architettura (templi, monasteri, abitazioni) arrivando ad influenzare anche la cultura, l’arte, la poesia, la pittura, la calligrafia, la scultura, le arti marziali fino ad incidere sui costumi, le credenze, il modo di pensare e di comportarsi, ad essere continuamente alla ricerca della perfezione in ogni cosa, la ricerca dell’armonia e il desiderio di perfezionare il profondo legame che esiste tra uomo e natura.

Fino al 20° secolo, in Europa,  la pratica dello Zen era conosciuta solo attraverso lo studio e i libri, ma poi, grazie al discepolo giapponese Taisen Deshimaru, essa approdò in Francia per cui anche gli Europei cominciarono ad interessarsi a questo sapere e conoscere l’essenza di questo insegnamento, potendo così finalmente applicare al loro stile di vita gli insegnamenti dei maestri Zen.  A questa nuova corrente di pensiero si accostarono, in seguito, anche molti scienziati, artisti e terapeuti di moltissimi paesi d’Europa.

Fonte: sakuramagazine.com

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